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Israele-Palestina: un settimanale diocesano condanna tutti gli integralismi. Anche quello sionista

Israele-Palestina: un settimanale diocesano condanna tutti gli integralismi. Anche quello sionista

Durante la Guerra dello Yom Kippur, Aldo Moro, allora ministro degli Esteri, dichiarò dinanzi alla Commissione Esteri del Senato, nel gennaio del ’74, che «i palestinesi non cercano dell’assistenza, ma una patria». Questa patria, secondo la visione dello statista ucciso dalle Br, doveva, attraverso un accordo con il mondo arabo, stabilizzare il Medio Oriente e garantire un equilibrio di pace anche in Europa, pur nel rispetto dell’integrità israeliana. L’Italia, in quegli anni, si disallineava gradualmente dagli Stati Uniti, tentando di elaborare una politica Estera, anche bel rapporto col Medio Oriente, che marcava equidistanza sia dagli Usa che dall’Urss.

Oggi, si sa, la politica estera italiana si identifica invece totalmente con la visione statunitense e atlantista. E trovare una lettura critica sul conflitto israelo-palestinese anche sulla stampa non è facile. Fa eccezione una parte della stampa cattolica che – forte ancora del radicamento nella visione morotea (e più recentemente, in quella multi laterale di papa Francesco) – continua a leggere le questioni mediorientali in una chiave che non ignora le istanze arabe e palestinesi e la complessità della realtà medio orientale.

Un esempio viene dall’editoriale di Maurizio Girolami, pubblicato sul settimanale diocesano di Pordenone, Il Popolo. Dopo aver ricordato come sabato 11 aprile Israele sia stata «teatro di un atto mai visto prima» nei 76 anni della sua storia, con il lancio di 300 missili verso le basi militari e le centrali energetiche come risposta dell’Iran «all'inqualificabile attacco all'ambasciata di Damasco», Girolami parla di «comportamenti incivili e moralmente inqualificabili» da entrambe le parti, che «trovano la loro radice nel fondamentalismo religioso ben presente sia nelI'Iran sciita che nello Stato di Israele, oggi governato dalla destra religiosa sionista, che ha come obiettivo quello di cacciare, se non di eliminare, tutto ciò che non è “Israele”». Non sono però da meno gli sciti, «che sostengono le azioni terroristiche di Hamas, Hezbollah e Houthi per spazzare via lo Stato di Israele dal Medio Oriente».

In un contesto così drammatico e contraddittorio, «i nostri giornali continuano a sbatterci davanti il terribile attentato del 7 ottobre, assieme alla carneficina di bambini e famiglie che cresce ogni giorno nella striscia di Gaza da parte dei militari israeliani. Raramente si parla di un'altra parte della società, i coloni, quali vengono armati dallo stesso governo con permesso di uccidere chiunque avanzi qualche pretesa su una terra sulla quale loro hanno messo piede (Cisgiordania). Può un'idea simile, che si ammanta di essere religiosa, portare da qualche parte l'umanità tutta? Credere in i Dio è proprio il contrario del fondamentalismo, perché credere significa crea re legami, senso di appartenenza all'umanità tutta». «La società israeliana è in trasformazione: chi ha fondato lo Stato veniva da un cultura europea che aveva vissuto guerre terribili; i figli e i nipoti di quella gene razione sembrano non ricordare più i loro padri né il fatto che se hanno una terra è grazie al concerto delle nazioni e non all'epurazione di chi non è gradito». «Qui in Italia – conclude l’editoriale di Girolami – forse più che schierarsi per dare ragion l'uno o all'altro, sarebbe utile fare appello a quella ragione che sa ascoltare, sa dialogare e sa considerare l'altro degno di rispetto. A furia di proteste e schieramenti rischiamo anche noi un fondarnentalismo culturale che non porterà al cun progresso al benessere dei popoli».

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