Se il cielo è dentro di noi. Nel libro di Spong una nuova visione di vita eterna
Tratto da: Adista Documenti n° 42 del 09/12/2017
DOC-2884. SAN PIETRO IN CARIANO (VR)-ADISTA. «Al di là della religione, al di là del teismo, al di là del cielo e dell’inferno, è ancora plausibile parlare di vita eterna»? È a questo interrogativo così centrale non solo per la fede cristiana ma anche per la vita di ogni singolo essere umano che cerca di rispondere il libro di John Shelby Spong Vita Eterna. Una nuova visione, appena uscito per i tipi di Gabrielli Editori (pp. 266, euro 17, acquistabile presso Adista, telefonando allo 06/6868692, inviando una mail ad abbonamenti@adista.it o collegandosi al sito).
Già vescovo episcopaliano e uno dei teologi più impegnati sul versante di un profondo rinnovamento del cristianesimo, di cui ha operato una radicale rilettura post-teista (superando, cioè, il concetto di Dio come un essere con potere soprannaturale, che dimora al di fuori di questo mondo e che interviene nel mondo per realizzare la sua divina volontà), Spong affronta in questo libro un lungo e complesso viaggio spirituale, «oltre la religione e perfino oltre il cristianesimo, com’è tradizionalmente inteso», in direzione di «una nuova visione dell’eternità », e lo fa seguendo ciò che Federico Battistutta, nell’introduzione del libro, definisce un metodo di «decostruzione amorosa», basato sulla convinzione che il cristianesimo non possa, secondo le parole di Spong, «continuare a essere l’irrilevante spettacolo religioso cui è stato ridotto».
In questo quadro, sganciando definitivamente la visione della vita eterna dai concetti di premio e castigo, e dunque invitando a condurre la propria esistenza sotto la spinta dell’amore anziché della paura, sulla base della promessa di Gesù di essere venuto «perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza», il teologo statunitense si guarda bene, come evidenzia il curatore del libro, don Ferdinando Sudati, dallo scrivere un manuale di escatologia, «quella che di solito designa i trattati dogmatici sulle “realtà ultime”», restando, al contrario, saldamente ancorato «all’aspetto “umano” della riflessione sulla morte e l’aldilà», attraverso l’ampio ricorso a elementi autobiografici e di vita vissuta e alla testimonianza di persone e vicende concrete.
Si tratta di certo, come sottolinea Sudati, di «un libro “tremendo”, se con questo s’intende il contrario di un libro pietistico o consolatorio a buon mercato»; tremendo «perché fa tremare un sistema dottrinale consolidato, quanto poco fondato, e chiunque in esso placidamente si adagi», ma che risulta di sicuro «assai stimolante, per la mente e per il cuore». Senza contare che, prosegue Sudati, se «coloro che non hanno nulla da mettere in discussione nel loro assetto religioso, che non patiscono alcun tipo di crisi e non sono interessati a continuare la ricerca, faranno bene a stare alla larga da Spong», non sarà più possibile, tuttavia, «illudersi che i problemi che l’autore pone sul tappeto possano ancora essere ignorati o rimandati, sia nell’ambito della cristianità sia in quello delle religioni mondiali», in quanto «nessuna istanza religiosa potrà più a lungo disattendere una risposta seria agli interrogativi posti dall’attuale visione scientifica del mondo e dell’essere umano in esso».
Ma quello di Spong è, in fondo, anche un libro ricco di speranza. Una speranza che resiste alla consapevolezza che «abbiamo un biglietto di sola andata attraverso la vita e che la fine della linea è appunto questo: la fine della corsa»; che, come scriveva Isaac Watts nel diciottesimo secolo, «il tempo, come un ruscello che continuamente scorre, porta via tutti i suoi figli. Volano via dimenticati come un sogno che muore all’inizio del giorno»; che, insomma, «quella contro la mortalità non solo è una battaglia che stiamo perdendo, ma che non potremo mai nemmeno vincere». È proprio per superare questo «pesante fardello emotivo» che, suggerisce Spong, abbiamo sviluppato meccanismi di adattamento destinati a fornire un senso e uno scopo e ad «arginare il fuoco delle nostre ansie fondate sulla mortalità», il «principale e più potente» dei quali è stata la religione, con la sua creazione di un Dio soprannaturale e teistico, un "Genitore" dal potere illimitato in grado di rispondere alle nostre esigenze. «È possibile – si domanda allora Spong – che la religione, invece di trasformare la realtà, ci consenta di nasconderci da questa realtà che non siamo emotivamente preparati ad abbracciare?». E cosa succederà nel momento in cui «questo scudo difensivo chiamato religione perde la sua credibilità»? E ancora: «La psiche umana può sopportare l’esperienza dell’autocoscienza senza il narcotico del soprannaturalismo? Esiste un’altra opzione? Sviluppare la religione è stata l’unica scelta che avevamo all’alba della consapevolezza umana o è stata la sola che abbiamo fatto?».
La risposta offerta da Spong in questo libro è che un’altra scelta in realtà c’è, e che passa per la ricerca di un ingresso nell’eterno non «postulando un regno in cui la morte è superata», ma «andando in profondità dentro questa vita», e scoprendo così che «la parola “cielo” non indica qualcosa al di fuori di noi, ma qualcosa che fa parte di noi».
Così, smettendo di credere nella possibilità di vivere dopo la morte come bambini che sono stati premiati con il cielo o puniti con l’inferno, possiamo aprirci, evidenzia Spong, a una nuova visione della vita eterna, scoprendo «che la vita umana autocosciente condivide l’eternità di Dio e che, nella misura in cui sono in comunione con quella forza vitale in perpetua espansione, quella potenza d’amore che arricchisce la vita e quell’inesauribile Fondamento dell’essere, io vivrò, amerò e sarò parte di ciò che Dio è, non vincolato dalla mia mortalità ma dall’eternità di Dio». E questa svolta dalla divinità sopra di noi a quella dentro di noi, conclude Spong, «non significa allontanarsi da Dio, come i paurosi grideranno; significa, e io ora lo credo, camminare in Dio».
Di seguito uno stralcio tratto dal capitolo "Credo nella vita oltre la morte".
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