“Donna sacerdote? Ma con quale Chiesa?”. Un libro di Vittorio Mencucci
Tratto da: Adista Notizie n° 31 del 16/09/2017
39073 ROMA-ADISTA. «Nel medioevo si riteneva che la donna fosse esclusa dal sacerdozio perché inferiore all’uomo per natura e quindi non adatta a un ministero direttivo. Dio crea la donna perché sia di “aiuto” all’uomo, ciò comporta che la donna non ha una identità autonoma, ma è in funzione dell’uomo. Per secoli questa è stata la fede indiscussa di tutta la cristianità. Poi il vento della modernità ha spazzato via queste false certezze. Pur crollato il fondamento dell’inferiorità della donna, l’esclusione dal sacerdozio rimane. Si trova un altro fondamento: la metafora nuziale tra Cristo uomo-sposo e la Chiesa donna-sposa, quindi il ministro che agisce in persona Cristi deve essere uomo-maschio». «Forse ai costruttori di dogmi è sfuggito qualcosa: la persona di Cristo nel cui nome si agisce è quella che è morta in croce e poi risorta, ma “alla resurrezione non si prende né moglie né marito, ma si è come gli angeli nel cielo” (Mt. 22,30). Spero che nessuno ricominci a discutere sul sesso degli angeli!». Queste parole di don Vittorio Mencucci, prete della diocesi di Senigallia, parroco di S. Giovanni Battista di Scapezzano (An), teologo di frontiera assai conosciuto ai lettori di Adista (che ricorderanno il suo recente libro: Liberaci dal sacro), rendono bene il senso profondo del suo ultimo lavoro, Donna sacerdote? Ma con quale Chiesa? (il pozzo di Giacobbe, pp. 161, euro 10: il libro è acquistabile presso Adista, telefonando allo 06/6868692, scrivendo ad abbonamenti@adista.it o collegandosi al sito www.adista.it).
A parte l’inconsistenza del fondamento su cui si poggia l’esclusione delle donne dal ministero ordinato, rileva Mencucci, è curioso notare – e quindi indagare, come l’autore fa all’interno del libro – le ragioni per le quali una norma rimanga immutata nonostante il crollo delle motivazioni teologiche e culturali che le sostenevano.
Oggi, è il ragionamento sviluppato da Mencucci, l’orizzonte culturale in cui viviamo, improntato ai principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, rifiuta decisamente l’esclusione della donna da un ruolo sociale. Del resto, Gesù non ha mai usato il termine sacerdote, che compare all’interno della comunità cristiana solo nel terzo secolo, ma il termine apostolo. La differenza, rileva don Vittorio, è sostanziale: il sacerdote compie una mediazione tra l’uomo e Dio e disciplina il sentimento religioso in struttura di autorità, riti, norme comportamentali; l’apostolo è mandato per annunciare la salvezza già compiuta e gratuitamente donata, di fronte cui l’individuo è chiamato a convertirsi, ossia ad orientare la propria vita secondo un progetto che le dia senso, in modo tale che l’agire non sia sottomissione a qualsiasi autorità, ma la realizzazione di sé in un cammino di crescita autonomamente vissuto. Ma oggi ancor più che in passato «non serve un “facitore del sacro” per operare una mediazione; questo farebbe perdere la sua specificità e lo respingerebbe nell’orizzonte comune di tutte le religioni». Inoltre «non è in gioco solo il ruolo della donna – spiega Mencucci in un altro passaggio del suo libro – ma la visione globale dell’esperienza di fede». Mencucci auspica quindi una profonda trasformazione nella Chiesa gerarchica che permetta un linguaggio più vicino alla vita con una maggior presenza di laici e un’esperienza di vita laica da parte delle guide. E che riprenda per lo meno in considerazione il diaconato femminile (a condizione, dice Mencucci, di non farne la brutta copia di quello maschile) o l’intuizione del card. Martini – e di tanti vescovi e teologi, specie di area francofona o del Continente latinoamericano – che suggeriva la sperimentazione dei viri probati, persone di provata fede a cui affidare alcune funzioni oggi svolte dai presbiteri. «Una opzione che va riconsiderata, ma che oggi – sostiene Mencucci – non può prescindere anche dalla capacitò creativa delle donne».
L’alternativa, secondo Mencucci, è l’arroccamento sterile dietro il muro, ormai cadente, della sacralità. Anche perché se la religiosità, ancora nell’800, era stata caratterizzata dall’alleanza del clero con le donne, due categorie uscite sconfitte dalla rivoluzione francese, a partire dal secondo Novecento quest’alleanza – sostiene l’autore – si sta progressivamente ed irrimediabilmente rompendo; e assistiamo alla fuga delle quarantenni che non frequentano più e non educano più i figli alla fede, come sempre avevano fatto le madri delle generazioni precedenti. Ben altre aspettative guidano le giovani generazioni femminili. La Chiesa, dice Mencucci, ha perso la corsa e non può sperare che il treno torni indietro. Deve avere il coraggio di immergersi nella nuova situazione, deve ricominciare da un nuovo linguaggio che solo con il contributo delle donne potrà elaborare. Sarebbe per l’autore paradossale se proprio la fede che crede nel Dio fatto carne non fosse in grado di comprendere le prospettive della corporeità.
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!