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Senza una visione, il popolo muore. La battaglia di Seattle e la sfida di una società post-capitalista

Senza una visione, il popolo muore. La battaglia di Seattle e la sfida di una società post-capitalista

Tratto da: Adista Documenti n° 28 del 29/07/2017

DOC-2864. ROMA-ADISTA. Dinanzi agli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine che hanno infiammato il G20 di Amburgo del 7 e 8 luglio scorso, difficile non tornare indietro di 18 anni, quando a Seattle, sul finire del 1999, nasceva, con la protesta senza precedenti contro il vertice dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, quello che sarebbe stato immediatamente battezzato come il "popolo di Seattle", una grande ondata di resistenza globale, costruita dal basso ed estremamente variegata, che, a partire da lì – secondo quanto evidenzia, in un articolo pubblicato da Outras Palavras (4/6), l'intellettuale e militante filippino Walden Bello, coordinatore del Focus on the Global South – sarebbe giunta ad affossare il mito della globalizzazione virtuosa. Preceduta da un processo iniziato, a giudizio di molti, con l'insurrezione zapatista del primo gennaio del '94, lo stesso giorno in cui entrava in vigore il Nafta, il Trattato di libero commercio tra Stati Uniti, Canada e Messico, la grande mobilitazione di Seattle, definita da Bello come «la battaglia di Stalingrado del neoliberismo», avrebbe, tra l'altro, spianato la via alla nascita, nel 2001 a Porto Alegre, del Forum Sociale Mondiale, diventato in breve tempo il più importante incontro dei movimenti popolari e sociali in lotta contro la globalizzazione neoliberista, e quello in cui maggiore visibilità e protagonismo avrebbe assunto il Sud del mondo. 

Un movimento, quello definito no global o, più correttamente, altermondialista, che sarebbe giunto a impensierire gravemente i potenti, quelli abituati a incontrarsi ogni anno nel suggestivo paesaggio di Davos, i quali, seccati di non potersi riunire pubblicamente da nessuna parte senza la rumorosissima presenza dei manifestanti, sarebbero arrivati persino a interrogarsi, nel loro incontro del 2001, sulle strategie con cui accrescere il consenso intorno alla globalizzazione dei mercati e sui correttivi all'impatto destabilizzante della globalizzazione, per poter continuare, è chiaro, ad arricchirsi senza eccessivi intralci (clamoroso, quello stesso anno, il tentativo di contatto tra i due mondi – in realtà, necessariamente, un dialogo tra sordi – attraverso una teleconferenza tra rappresentanti del Forum economico e rappresentanti del Forum sociale: di là quattro uomini bianchi, sopra i quaranta, incravattati, su un palco di sedie rococò e tavolo di velluto rosso; di qua, una ruota con una dozzina di giovani, metà uomini e metà donne, neri, bianchi, gente vestita di tutti i colori e venuta da tutti i continenti, in un piccolo auditorio con tifo organizzato e una moltitudine di persone che strepitava fuori, v. Adista Documenti n. 14/01). Talmente preoccupate, le autorità del capitalismo globalizzato, da decidere persino di sospendere, nel giugno del 2001, per il timore di "possibili incidenti", la Conferenza annuale sull'economia e lo sviluppo della Banca Mondiale, denunciando paradossalmente presunte «intimidazioni nei confronti di un libero dibattito» (v. Adista n. 41/01), come se non bastasse loro circondarsi di muri e soldati per tenere a distanza il popolo da loro stesse oppresso. 

Una preoccupazione, quella dei potenti – "La paura di Golia, la forza di Davide" era il titolo di un editoriale dell'epoca del quotidiano messicano La Jornada –, che nel nostro Paese si sarebbe poi tradotta negli eventi del G8 di Genova, nel luglio del 2001, preparati sapientemente dalle istituzioni, giunte, nella persona di Franco Frattini, allora presidente del Comitato di controllo sui servizi segreti, a definire potenzialmente eversiva addirittura la Rete di Lilliput (che riuniva, si ricorderà, oltre 500 fra associazioni ambientaliste, del commercio equo e per la cooperazione allo sviluppo, una delle quali, la Ctm Altromercato, la più grande centrale di importazione del commercio equo e solidale, avrebbe subìto persino una perquisizione della Digos, v. Adista Notizie n. 21/01). Da qui lo sgomento e l'orrore del vertice del G8 a Genova, con l'immagine del corpo senza vita di Carlo Giuliani e con le immagini di una città blindata e militarizzata fino all'inverosimile, le immagini inaudite della brutalità delle forze dell'ordine: le macchie di sangue sui pavimenti e le pareti della scuola Diaz, le violenze indiscriminate durante le manifestazioni di piazza, le spaventose violazioni dei diritti umani nella caserma di Bolzaneto. E, poi, il tempo passato a fare i conti con l'eredità di quella straordinaria e insieme tragica esperienza, nel tentativo di ripartire da lì, ma facendo tesoro degli errori commessi, e rilanciando lo spirito che aveva animato quella grande, unitaria e plurale coalizione di forze contro cui il potere non aveva trovato rimedio migliore che scatenare una delle più feroci repressioni della storia repubblicana. Tanta acqua di rivolta è passata da allora sotto i ponti della storia, con un quadro internazionale nel frattempo profondamente cambiato, che pone oggi al movimento altermondialista nuove e complesse sfide, a cominciare dalla necessità, quanto mai urgente, di dare vita a un altro spazio, o ad altri spazi, in cui le diverse esperienze possano stabilire mete comuni, aspetti su cui convergere, costruendo una piattaforma di lotta e creando sinergie tra le tante battaglie esistenti. E, in tal modo, accumulando forza sufficiente a creare un’egemonia alternativa. 

Di seguito, in una nostra traduzione dal portoghese, ampi stralci dell'intervento di Walden Bello, seguito dall’articolo del leader del Movimento dei Senza Terra João Pedro Stedile  pubblicato sul numero speciale doppio di Alai (nn. 525-526, giugno-luglio 2017), dedicato alle principali sfide del presente. 

* Foto di Jeremy Hunsinger tratta da Flickr, immagine originale e licenza

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