Il papa non abita più qui
Tratto da: Adista Notizie n° 12 del 25/03/2017
All’apparire di Francesco sulla loggia di S. Pietro, quella sera del 13 marzo di 4 anni fa, e all'ascolto del suo primo discorso, così forte e così toccante, così nuovo e così antico, ci sembrava di sognare. Troppi elementi venivano a sovrapporsi e a dar forma reale a un presentimento, cresciuto da decenni, per quanto minacciato da ostacoli, da dimenticanze e da tradimenti.
La luna di miele di Francesco con la Curia romana già allora era destinata a durare un battito d'ali, ma quella con il popolo di Dio sembra proprio perpetuarsi senza fine.
La Curia – almeno in una sua parte – aveva subito registrato un gesto simbolico potentissimo, percependolo come altamente minaccioso. Aveva capito in un lampo: il papa non abita più qui. Resta periferico, anche stando al centro. Lavora con la Curia, ma non ne fa parte. Resta extraterritoriale, non controllabile, non addomesticabile. Presta servizio, ma resta libero.
Il popolo di Dio, invece, ha subito gustato due parole-chiave, anzi tre: povertà e misericordia, che erano già scritte nel nome prescelto dal cardinale argentino, ma che diventavano – inevitabilmente e progressivamente –principio di riforma della Chiesa.
Esse prendono forma solenne in alcuni gesti simbolici che hanno fatto epoca, fin dal giorno stesso in cui sono stati compiuti:
- la cura per tutte le marginalità, che diventa attenzione radicale all’altro, dinanzi al quale "levarsi i calzari”, in quanto barbone, migrante, profugo o carcerato.
- la Chiesa come ospedale da campo o campo profughi deve "uscire" e scoprire l’altro fuori di sé; l’eresia protestante e l’ostilità atea rilette come fraternità.
Di qui scaturisce il duplice fronte di riforma, quello ad extra e quello ad intra:
- ad extra: una Chiesa che non deve "portare Dio dove non è" ma che deve “riconoscerlo dove già si trova" muta il rapporto con la politica, con le altre confessioni e le altre fedi. Procedendo da una nuova comprensione della libertà di coscienza, e da una nuova relazione alla città secolare e aperta, si lascia sorprendere dall’altro proprio in quanto diverso, sul piano civile, cristiano, religioso. E può insegnare solo se è disponibile a dialogare e a imparare.
- ad intra: la condizione interna per l’esercizio di questa libertà esterna è di essere Chiesa come popolo in cammino. Ciò chiede un rilancio del discepolato che brilla anzitutto in una esigente riforma dei sacramenti del servizio (matrimonio e ordine). Quel mutamento che Amoris Laetitia introduce nella pastorale familiare e che l’inizio del dibattito su diaconato femminile e sulla ordinazione di viri probati approfondisce, per non parlare della sorpresa per il “metodo sinodale" con cui scegliere il cardinal vicario, contro tutte le previsioni in apparenza già acquisite...
Sulla via del Concilio Vaticano II, papa Francesco non si nasconde dietro a una tradizione paralizzata da sé medesima. Esce dal sofferto e comodo "non possumus" che aveva incantato e sedotto i suoi predecessori. Riconosce alla Chiesa l’autorità di poter rispondere creativamente al dono di grazia. Con i suoi gesti semplici e quotidiani restituisce autorevolezza alla tradizione, traducendola.
La Chiesa riscopre di poter davvero perdonare e camminare. Questo cammino e questo perdono, finalmente riconosciuti possibili, sono per pochi un errore imperdonabile, per i molti la consolazione preziosa che apre una nuova stagione.
Grazie al Vaticano II il presentimento di un papa possibile è divenuto evento reale. Ora tocca alla Chiesa.
* Andrea Grillo è liturgista laico, docente di Teologia Sacramentaria presso la Facoltà Teologica del Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma e di Teologia presso l'Istituto di Liturgia Pastorale di Padova, nonché dell'Istituto Teologico Marchigiano di Ancona.
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