In America Latina è guerra contro gli ambientalisti, nel nome del modello estrattivista
Tratto da: Adista Notizie n° 5 del 04/02/2017
38840 CITTÀ DEL MESSICO-ADISTA. A meno di un anno dall'omicidio di Berta Cáceres - la dirigente ecologista del popolo lenca uccisa il 3 marzo 2016 in Honduras per la sua lotta contro lo sfruttamento del territorio e dei beni comuni da parte di aziende minerarie e idroelettriche – il mondo ha perso un altro vincitore del prestigioso Goldman Environmental Prize, una sorta di Nobel per l'Ambiente, tra i massimi riconoscimenti planetari per chi lotta per la preservazione della natura: l'ecologista messicano Isidro Baldenegro López, il quale, dopo l'assassinio, nel 1986, di suo padre Julio - grande difensore delle foreste della Sierra Madre, ormai decimate da taglialegna, allevatori e narcos - aveva deciso di seguirne le orme, andando incontro al suo stesso destino.
Leader del popolo indigeno tarahumara, nella Sierra Madre occidentale, dove combatteva per la salvaguardia dei boschi contro i potenti interessi commerciali delle industrie del legname e dei narcotrafficanti, interessati a disboscare per far spazio alle piantagioni di marijuana, il 51enne Isidro Baldenegros si trovava, il 15 gennaio scorso, in visita a casa di uno zio, nella sua comunità di Coloradas de la Virgen, nello Stato di Chihuahua - che egli era stato costretto ad abbandonare insieme alla famiglia in seguito alle ripetute minacce di morte ricevute - quando uno dei presenti, un uomo di 25 anni di nome Romero Rubio Martínez ha estratto la pistola e gli ha sparato contro sei proiettili, per poi darsi alla fuga. Nello stesso municipio di Guadalupe y Calvo, solo nell'ultimo anno, erano già stati uccisi quattro militanti ambientalisti.
Nel 1993 Isidro aveva fondato Fuerza Ambiental, un movimento di resistenza nonviolenta contro la deforestazione selvaggia dei territori indigeni, obbligando il governo, dopo quasi dieci anni di lotte, scioperi e manifestazioni, a ritirare le concessioni allo sfruttamento forestale. Ma l'aveva pagata cara. Nel 2003, un anno dopo aver ottenuto il divieto di deforestazione nella zona, il dirigente era stato arrestato all'improvviso, con l'accusa, in seguito rivelatasi falsa, di possesso di armi e droga. Un arresto che, tuttavia, non aveva avuto altro esito che aumentare la sua popolarità, fino al conferimento, nel 2005, del Premio Goldman per l'ambiente.
Isidro Baldenegro López è, peraltro, solo l'ultimo di una lunga serie di ecologisti assassinati in America Latina, la regione del mondo in assoluto più pericolosa per i difensori della natura: in base al rapporto dell'osservatorio Global Witness, diffuso lo scorso giugno, circa due terzi degli omicidi di ambientalisti in tutto il mondo si sono registrati in Centro e Sudamerica, dove, tra il 2002 e il 2015, si sono consumati più di 900 assassinii, in una pressoché completa impunità (in Honduras - dove, a poca distanza dall'omicidio di Berta Cáceres, sono stati uccisi altri due esponenti del Copinh, il Consejo civico de organizaciones populares e indigenas de Honduras, Nelson García e Lesbia Urquía - il 90% dei crimini commessi contro i difensori dei diritti umani è rimasto irrisolto).
Una violenza che è per di più in aumento, se è vero che, secondo i dati forniti dall'organizzazione britannica, il 2015 ha battuto il record di assassinii di ecologisti a livello globale, con almeno 185 morti, di cui ben 122 in America Latina (e di questi 50 solo in Brasile, il Paese in assoluto più letale per i difensori dell'ambiente): una cifra superiore del 40% rispetto a quella del 2014. Un effetto collaterale del modello estrattivista dilagante nel subcontinente latinoamericano, inteso come processo di accaparramento delle risorse presenti nei territori da parte di grandi interessi privati, nazionali ed esteri, contro gli interessi delle comunità locali e indipendentemente dai limiti degli ecosistemi.
E che si tratti dell'industria degli idrocarburi e dei metalli preziosi (si deve per esempio all'attività mineraria circa l'80% dei 69 omicidi di ambientalisti registrati in Perù dal 2002), dell'estensione inarrestabile delle monocolture – di soia, palma, canna da zucchero, eucalipto – a scapito di foreste e di comunità indigene e contadine, o delle grandi infrastrutture necessarie all'esportazione delle materie prime, l'effetto è sempre lo stesso: la guerra - da parte, indistintamente, di poteri statali, parastatali e privati - contro chi osa opporsi alla devastazione dell'ambiente e alla rapina dei beni comuni.
Quanto al Messico, sono 33, secondo l’osservatorio Global Witness, i militanti ecologisti uccisi tra il 2010 e il 2015. Ma mai come in questo caso c'è, purtroppo, poco di che sorprendersi, considerando che, dal 2006 – da quando, cioè, l'ex presidente Felipe Calderón scatenò la guerra contro il narcotraffico, portata poi avanti con eguale energia dal suo successore Enrique Peña Nieto – ogni giorno vengono uccise oltre 50 persone, per un totale di circa 155mila assassinati, di cui 55mila solo nei tre anni di governo dell'attuale presidente.
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