Ecologia integrale: cosa dice il mio corpo?
Tratto da: Adista Documenti n° 35 del 15/10/2016
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Se lo guardo in base a una sensibilità integralmente ecologica, vedo nel mio corpo la registrazione di una storia molto lunga, ancestrale. Ogni sua parte è apparsa milioni di anni fa... in un’altra specie. Vediamo, “ricordiamo”.
Prendo coscienza in primo luogo che c’è stato un tempo in cui c’erano solo protoni, neutroni ed elettroni. Nel corso del tempo si sarebbero raggruppati in organismi viventi e un giorno avrebbero formato il mio corpo. So che gli atomi che ora lo costituiscono esistono da milioni di anni e prima hanno fatto parte di altri esseri, sia animati che inanimati. Il pianeta è fatto della stessa materia e sono proprio gli atomi di questa materia quelli impiegati nell’elaborazione degli esseri viventi. Per questo in me vi sono atomi che prima sono stati presenti, chissà, nelle montagne, negli invertebrati, nei colibrì, nei dinosauri, negli uccelli che hanno sorvolato i monti, nei pesci che hanno attraversato oceani... e anche in altri umani. Ora costituiscono l’originalità che sono io. Sento questo continuo entrare e uscire di atomi dentro di me. Per questo mi sento interdipendente e in comunione con tutta la materia. Un giorno le mie cellule si scomporranno e i miei atomi passeranno a far parte di un pesce, di una spiga di grano, di un’araucaria. Torneranno alla Terra.
DALL’ORIGINE DELLA VITA
Il fatto che il mio corpo sia vivo mi fa pensare all’origine della vita. Mi è stato insegnato che ho cominciato a vivere il giorno in cui sono nato. So bene che la mia prima cellula vivente, lo zigote, è in assoluta continuità con la vita che si è fusa a partire dalle cellule viventi di mio padre e di mia madre. Non ho iniziato da zero; la più piccola interruzione avrebbe spazzato via la possibilità che io venissi alla luce. Tra la mia persona, i miei genitori, i miei nonni, i miei bisnonni... c’è un filo ininterrotto di vita che mi unisce a tutti i miei antenati. Dopo Darwin, sappiamo che questa continuità giunge fino alla prima cellula vivente, a quegli aminoacidi che per la prima volta hanno sentito una scossa sinergica che li ha misteriosamente condotti a costituire un’unità vivente. Quella prima «cellula», Aries, è l’antenata di tutti gli esseri viventi che si incontrano su questo pianeta. La mia vita risale indietro nel tempo ininterrottamente fino ad essa.
Quella prima cellula aveva proprietà che non erano presenti nelle sue componenti prese separatamente, come la capacità di riprodursi, di ottenere energia dall’ambiente, di relazionarsi con esso, di mantenere una certa stabilità e di auto-organizzarsi. Si tratta di incontri che hanno fatto nascere qualcosa in grado di costruirsi da sé. La vita è qualcosa di incredibile: appare come un nuovo livello e presenta proprietà originali. Ma, a sua volta, si basa su un livello molecolare e non vivente. La biologia riposa sulla chimica e sulle leggi fisiche.
Per un miliardo e mezzo di anni Aries si moltiplicò, ancora nella forma di cellule procariote, finché, operando un salto qualitativo inimmaginabile, la vita non passò ad adottare la forma eucariota, dotata di un nucleo. Anch’io ho beneficiato di questa novità: tutte le mie cellule continuano ad avere un nucleo.
Questo passaggio fu grandioso: ogni cellula iniziò a conservare nel suo nucleo l’informazione corrispondente alla sua forma di vita, ai suoi processi di alimentazione, ai suoi metabolismi, ai suoi modelli di riproduzione. Tutte utilizzarono lo stesso alfabeto del DNA per conservare questa informazione genetica. Ancora oggi le mie cellule – e quelle di tutti gli attuali esseri viventi – utilizzano quello stesso alfabeto di cui la vita si dotò circa 2 miliardi di anni fa.
ORGANISMI MULTICELLULARI
Apparvero infine gli organismi multicellulari e successivamente i grandi organismi. Tutti nell’acqua. È qui che è iniziata la vita. Ed è qui che continua a nascere la maggior parte degli organismi, nel liquido amniotico, compreso me stesso. La vita è sorta tutta nel mare, finché un «pesce osseo» non ha sviluppato alette dure con cui si è avventurato a conquistare la terra. I miei polmoni mi ricordano questo passaggio che la vita ha operato dal mare alla terra, dall’acqua all’aria. È stato difficile. L’atmosfera aveva poche molecole di ossigeno. Sono grato alle alghe verdi che hanno prodotto come «scarto» l’ossigeno che oggi respiriamo, facendo sì che nell’atmosfera vi sia il 21% di ossigeno (oggi so che, se fosse un po’ di più, andrebbero a fuoco le foreste).
Quando osservo una rana mi riempio di ammirazione: sei uscita e ce l’hai fatta! In realtà, io, con i miei polmoni, eredito e godo anche di questo trionfo ottenuto dalla vita grazie a questi pesci audaci. Ormai sulla terra, le loro alette ossee si sono trasformate in zampe utili per camminare, poi in zoccoli, più tardi in artigli... Le mie mani, con il pollice opponibile, mi parlano dei tempi in cui artigli primitivi servivano ai miei antenati arboricoli per spostarsi tra gli alberi afferrandosi ai rami.
A poco a poco le mie dita hanno imparato a manipolare le pietre, a costruire i primi strumenti, a levigarli e a rifinirli. Con il passare del tempo sarebbero venuti la puleggia, la finestra, il libro, la tenda, la matita, il pennello, l’orologio, la molla, il portapillole, l’agenda... Le mie mani sono diventate mani di artista, pittore, pianista, chirurgo, scultore... quelle alette ossee!
I miei occhi colgono immagini, ma non sono un’invenzione della mia specie. La natura è andata migliorando questa invenzione. I pesci primitivi svilupparono nella parte anteriore cellule che permettessero loro di distinguere lo splendore del giorno dalle ombre della notte. Gli organi della vista si andarono sviluppando nel corso di miliardi di anni e oggi esistono diversi tipi di occhi. Gli occhi umani non sono i migliori: ve ne sono di molto più capaci (le api vedono la luce ultravioletta che noi non percepiamo), più intensi (la vista della lince), più acuti. Abbiamo ereditato il sistema visivo sviluppatosi a partire dai primi primati. In tutti i modi, per la mia capacità di ammirare, sono l’Universo stesso trasformato in occhio che osserva la lunga storia che lo ha generato.
Fu al tempo dei primati che la vita giunse al bipedismo. La postura eretta ci trasformò: cambiò le nostre mani, ridusse la nostra faccia, ingrandì il nostro cranio e aumentò il nostro volume cerebrale.
Ed ecco, è il cervello che mi sorprende in maniera particolare, perché non ne ho solo uno, ma tre... Nella parte più antica, nella vecchia scatola cranica, ho un cervello come quello dei retttili, che presiede agli istinti primari: fame, violenza, difesa, aggressività, sessualità... Intorno, c’è il cervello limbico, a cui la vita ha dato forma con i mammiferi, portatori della novità dell’affetto, della carezza, della leccata, della cura materna nei confronti dei piccoli. Porto in me questi due cervelli, ma il genere homo – che include molte specie, tra cui la mia, sapiens – ha visto l’aggiunta di un terzo cervello, il cortex, la corteccia cerebrale, capace di pensiero astratto, formale, riflessivo, e di linguaggio, grazie a cui mettiamo un nome a tutto, riempiamo il mondo di parole e lo trasformiamo in pensiero condividendolo con gli altri.
LA MEMORIA DELLA VITA REGISTRATA NEL MIO CORPO
Così profondamente relazionato con l’evoluzione della vita, il mio corpo mi indica che non siamo stati pensati in base a un disegno nuovo, partendo da zero, in maniera del tutto speciale, ma che siamo il risultato, la somma di conquiste che la Comunità della Vita su questo pianeta è andata faticosamente realizzando nel corso di vari miliardi di anni. Nel mio corpo c’è la prima creatività della vita acquatica, c’è il trionfo dei rettili che hanno conquistato la terra, la tenerezza affettiva scoperta dai mammiferi, sistemi biologici e metabolismi che hanno avuto successo e si sono accumulati e preservati come l’eredità biologica totalmente gratuita che ci costituisce: siamo un puro dono gratuito della Vita di questo pianeta! Il nostro corpo lo testimonia.
Questo è, insomma, un modo di guardare al nostro corpo con una visione di «ecologia integrale». Con questa si può vedere tutto in maniera differente. E ne vale la pena.
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