Il neoliberismo al di là dei cliché
Tratto da: Adista Documenti n° 28 del 30/07/2016
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Immaginate se la popolazione dell'Unione Sovietica non avesse mai sentito parlare di comunismo. Ebbene, l'ideologia che domina le nostre vite non ha nome per la maggioranza delle persone. Fate un accenno in una conversazione e vedrete la reazione del vostro interlocutore. Se pure avrà già sentito il termine, troverà difficoltà a definirlo. Neoliberismo: sapete cos'è?
L'anonimato è tanto sintomo quanto causa del suo potere. Ha svolto un ruolo importante in una notevole sequenza di crisi: la crisi finanziaria del 2007-2008; l'occultamento di ricchezza e potere che i Panama Papers ci fanno appena intravedere; la lenta erosione della sanità e dell'educazione pubbliche; la ricomparsa della povertà infantile; l'epidemia di solitudine; il collasso degli ecosistemi; l'ascesa di Donald Trump. Ma rispondiamo a tali crisi come se apparissero isolatamente, apparentemente inconsapevoli del fatto che sono state tutte o catalizzate o esacerbate da una stessa filosofia coerente; una filosofia che ha – o aveva – un nome. Può esserci un potere maggiore che operare anonimamente?
Il neoliberalismo è diventato così penetrante che raramente lo si riconosce, almeno come ideologia. Sembra che si accetti l'idea che questa fede utopica e millenaria descriva una forza neutra; una specie di legge biologica, come la teoria dell'evoluzione di Darwin. Ma questa filosofia è nata come tentativo consapevole di rimodellare la vita umana e di cambiare il locus del potere.
Il neoliberismo vede la competizione come caratteristica distintiva delle relazioni umane. Ridefinisce i cittadini come consumatori, le cui scelte democratiche sono espresse al meglio nel comprare e nel vendere, un processo che si ritiene ricompensi il merito e punisca l'inefficienza. Sostiene che il “mercato” assicura vantaggi che non potrebbero mai essere realizzati attraverso la programmazione statale.
Tentativi di limitare la competizione sono considerati ostili alla libertà. L'ideologia afferma che imposte e regole dovrebbero essere ridotte e i servizi pubblici privatizzati. L'organizzazione del lavoro e la contrattazione collettiva attraverso i sindacati sono descritte come distorsioni del mercato, tali da impedire la formazione di una gerarchia naturale tra vincitori e vinti. La disuguaglianza è riscattata come virtuosa, generatrice di una ricchezza che si diffonde dall'alto in basso, arricchendo tutti. Gli sforzi per creare una società più egualitaria sarebbero al tempo stesso controproducenti e moralmente corrosivi. Il mercato farebbe in modo che tutti ricevano quanto meritano.
Introiettiamo e riproduciamo tali convinzioni. I ricchi si convincono di aver acquisito la ricchezza per loro merito, ignorando i vantaggi – come educazione, eredità e classe sociale – che possono averli aiutati a ottenerla. I poveri cominciano ad accusarsi per i loro fallimenti, per quanto poco possano fare per cambiare le circostanze delle loro vite.
Dimentica la disoccupazione strutturale: se non hai lavoro è perché non sei intraprendente. Dimentica i costi impossibili della casa: se la tua carta di credito è in rosso, sei imprudente e imprevidente. Dimentica che i tuoi figli non hanno più uno spazio in cui fare sport a scuola: se sono grassi, è colpa tua. In un mondo governato dalla competizione, quanti restano indietro passano a essere definiti e ad autodefinirsi come falliti.
Tra i risultati, come documenta Paul Verhaeghe nel libro What About Me?, vi sono un'epidemia di automutilazioni, disturbi alimentari, depressione, solitudine, ansia da prestazione e fobia sociale. Non sorprende che il Regno Unito, dove l'ideologia neoliberista viene applicata con maggior rigore, sia la patria della solitudine in Europa.
ORA SIAMO TUTTI NEOLIBERISTI
Il termine neoliberismo è stato coniato in una riunione del 1938 a Parigi. Tra i partecipanti, c'erano due uomini che avrebbero elaborato tale ideologia, Ludwig von Mises e Friedrich Hayek. Entrambi esiliati dall'Austria, essi consideravano la socialdemocrazia, caratterizzata dal New Deal di Franklin Roosevelt, e lo sviluppo graduale dello Stato sociale in Gran Bretagna come espressioni di un collettivismo che occupava lo stesso spettro del nazismo e del comunismo.
In The Road to Serfdom (“Il cammino della schiavitù”), pubblicato nel 1944, Hayek argomentava che la pianificazione governativa, soffocando l'individualismo, avrebbe condotto inesorabilmente al controllo totalitario. Come il libro Bureaucracy di Mises, The Road to Serfdom venne letto da molti, richiamando l'attenzione di alcune persone molto ricche, le quali videro in questa filosofia l'opportunità di liberarsi da imposte e regolamentazioni. Quando, nel 1947, Hayek fondò la prima organizzazione che avrebbe diffuso la dottrina del neoliberismo – la Mont Pelerin Society –, questa venne sostenuta finanziariamente da milionari e rispettive fondazioni.
Con tali appoggi, egli si dispose a creare quella che Daniel Stedman Jones descrive, in Masters of the Universe, come «una specie di Internazionale Neoliberista»: una rete globale di accademici, uomini d'affari, giornalisti e attivisti. (...).
Evolvendo, il neoliberismo diventò più estremo. La visione di Hayek secondo cui i governi avrebbero dovuto regolamentare la competizione per prevenire la formazione di monopoli lasciò spazio – tra apostoli nordamericani come Milton Friedman – alla convinzione che il potere monopolista avrebbe potuto essere considerato come una ricompensa all'efficienza.
Un'altra cosa avvenne durante questa transizione: il movimento perse il nome. Nel 1951, Friedman si compiaceva nel descrivere se stesso come neoliberista. Ma, subito dopo, il termine cominciò a sparire. (…).
All'inizio, malgrado i generosi finanziamenti, il neoliberismo restò ai margini. Il consenso post-guerra era quasi universale: le prescrizioni economiche di John Maynard Keynes vennero ampiamente applicate. Piena occupazione e lotta alla fame erano obiettivi comuni negli Stati Uniti e nella maggior parte dell'Europa Occidentale. (…).
Negli anni '70, tuttavia, quando le politiche keynesiane iniziarono a franare e le crisi economiche investirono gli Stati Uniti e l'Europa, le idee neoliberiste cominciarono a prendere il sopravvento. Come evidenziato da Friedman, «quando arriva il momento, è necessario cambiare… c'era lì un'alternativa pronta per essere colta». Con l'aiuto di giornalisti favorevoli all'idea e di consiglieri politici, alcuni elementi del neoliberismo, a cominciare dalle sue prescrizioni di politica monetaria, furono adottati dai governi di Jimmy Carter, negli Stati Uniti, e Jim Callaghan, in Gran Bretagna.
Con la conquista del potere da parte di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, il resto del pacchetto seguì al galoppo: tagli massicci alle imposte dei ricchi, attacco ai sindacati, deregulation, privatizzazione, esternalizzazione e competizione nei servizi pubblici. Attraverso il FMI, la Banca Mondiale, il Trattato di Maastricht e l'Organizzazione Mondiale del Commercio, le politiche neoliberiste furono imposte – frequentemente senza consenso democratico – in gran parte del mondo. La cosa più notevole è che furono adottate da partiti che in passato appartenevano alla sinistra, come il Partito Laburista in Inghilterra e il Partito Democratico negli Stati Uniti. Come osserva Stedman Jones, «è difficile pensare a un'altra utopia che sia stata realizzata così completamente».
Può sembrare strano che una dottrina che promette opportunità di scelta e libertà possa essere stata promossa sotto lo slogan “non c'è alternativa”. In ogni caso, Hayek, in una visita al Cile di Pinochet – una delle prime nazioni ad aver applicato esaustivamente il programma – ha dichiarato: «La mia preferenza personale si orienta verso una dittatura liberale, anziché verso un governo democratico che non pratichi il liberismo». La libertà che il neoliberismo offre, che suona così affascinante quando è espressa in termini generali, finisce però per significare libertà per l'élite, non per i pesci piccoli. Libertà in relazione ai sindacati e alla contrattazione collettiva significa libertà per comprimere i salari. Libertà in relazione alla regolamentazione significa libertà di avvelenare i fiumi, di mettere a repentaglio la vita dei lavoratori, di riscuotere tasse inique e di creare esotici strumenti finanziari. Libertà dalle imposte significa libertà dalla distribuzione di ricchezza che fa uscire le persone dalla povertà.
Come documenta Naomi Klein nel libro Shock Economy, i teorici neoliberisti invocano l'utilizzo delle crisi per imporre politiche impopolari approfittando della distrazione delle persone, dal golpe di Pinochet alla guerra in Iraq, fino all'uragano Katrina, descritto da Friedman come «un'opportunità per riformare radicalmente il sistema educativo» in New Orleans.
Laddove non possono essere imposte internamente, le politiche neoliberiste vengono introdotte a livello internazionale, attraverso trattati commerciali che incorporano “modelli di disputa Stato-investitore”: tribunali globali in cui le imprese possono premere per la revoca di leggi e norme che proteggono diritti sociali e ambientali. Quando dei parlamentari hanno votato per la restrizione della vendita di sigarette, per la protezione di riserve d'acqua dalle compagnie minerarie, per il congelamento delle bollette di energia elettrica o per difendere lo Stato contro le aziende farmaceutiche, le imprese hanno fatto causa e molte volte hanno vinto. La democrazia si riduce a un teatro. (…).
La crescita economica è diventata visibilmente più lenta durante l'era neoliberista (a partire dagli anni '80 in Gran Bretagna e Usa) di quanto lo fosse nei decenni precedenti, ma non per gli ultra ricchi. La disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza, dopo 60 anni di calo, è aumentata rapidamente nella nuova era, a causa della distruzione dei sindacati, della riduzione delle imposte, dell'aumento degli affitti, della privatizzazione e della deregolamentazione.
La privatizzazione o mercantilizzazione dei servizi pubblici, come energia, acqua, ferrovie, salute, educazione, strade e sistema penitenziario, ha consentito alle grandi imprese di mettere un pedaggio sui beni essenziali, ottenendo redditi sia dai cittadini che dal governo. Ma il termine reddito è un eufemismo in riferimento al denaro guadagnato senza sforzo. (...). Chi possiede e amministra i servizi privatizzati o semi-privatizzati del Regno Unito fa enormi fortune, investendo poco e guadagnando molto. In Russia e in India l'oligarchia ha acquisito beni statali attraverso aste pubbliche. In Messico, Carlos Slim ha ottenuto il controllo di quasi tutti i servizi di telefonia fissa e mobile e subito è diventato l'uomo più ricco del mondo.
La finanziarizzazione, come nota Andrew Sayer in Why We Can’t Afford the Rich, ha avuto un impatto simile. (…). Nella misura in cui i poveri diventano più poveri e i ricchi più ricchi, il ricco ottiene un controllo crescente su un altro bene cruciale: il denaro. I pagamenti degli interessi sono, in maniera devastante, trasferimento di denaro dal povero al ricco. I prezzi degli immobili e la riduzione degli investimenti statali sovraccaricano di debiti le persone, ma le banche e gli amministatori ci sguazzano.
Secondo Sayer, gli ultimi 40 anni sono stati caratterizzati da un trasferimento di ricchezza non solo dal povero verso il ricco, ma anche tra categorie di ricchezza: da quanti guadagnano producendo nuovi beni o servizi a quanti guadagnano assumendo il controllo di rendite già esistenti, raccogliendo interessi e profitti. Il guadagno da attività produttive è stato superato da quello da attività speculative. (…).
Quanto maggiore è il suo fallimento tanto più radicale diventa l'ideologia. I governi utilizzano le crisi neoliberiste tanto come scusa quanto come opportunità per abbassare le imposte, privatizzare i restanti servizi pubblici, aprire crepe nella rete di protezione sociale, eliminare le regole per le multinazionali e imporle ai cittadini. Uno Stato masochista affonda i denti su ogni organo del settore pubblico.
VIA DALLA POLITICA
L'impatto più pericoloso del neoliberismo è dato forse non dalla crisi economica, ma da quella politica. Man mano che si riduce il dominio dello Stato, si riduce anche la possibilità di cambiare il corso delle nostre vite attraverso il voto. Secondo la teoria neoliberista, le persone possono esercitare il loro diritto di scelta tramite il consumo. Ma alcuni possono spendere più di altri: nella grande democrazia del consumatore o dell'azionista, i voti non sono ugualmente distribuiti. Il risultato è una perdita di autonomia da parte dei poveri e delle classi medie. Nella misura in cui i partiti di destra e l'ex-sinistra adottano simili politiche neoliberiste, questa perdita di autonomia si trasforma in privazione dei diritti civili. Un grande numero di persone è stato spazzato via dalla politica.
Chris Hedges osserva che i «movimenti fascisti costruiscono la propria base non tra le persone politicamente attive, ma tra quelle inattive, tra i “perdenti” che sentono, spesso giustamente, di non avere una voce né un ruolo da svolgere nell'establishment politico». Quando il dibattito politico perde significato, le persone diventano sensibili a slogan, simboli e sensazioni. Per gli ammiratori di Trump, per esempio, fatti e argomenti appaiono irrilevanti. (…).
Come il comunismo, il neoliberismo è Dio che ha fallito. Ma questa dottrina zombie continua la sua scalata, e una delle ragioni è l'anonimato. O, piuttosto, un insieme di anonimati. La dottrina invisibile della mano invisibile è promossa da investitori invisibili. Lentamente, molto lentamente, iniziamo a scoprire il nome di alcuni di essi. Scopriamo che l'Institute of Economic Affairs, che si è battuto con forza sui mass media contro la regolamentazione dell'industria del tabacco, è stato segretamente fondato, nel 1963, dalla British American Tobacco. Scopriamo che Charles e David Koch, due degli uomini più ricchi del mondo, hanno fondato l'istituto che ha creato il movimento Tea Party. Scopriamo che Charles Koch, creando uno dei suoi think tank, ha affermato che «per evitare critiche sgradite, il modo in cui l'organizzazione è controllata e diretta non dovrebbe essere ampiamente divulgato».
Le parole usate dal neoliberismo spesso occultano più di delucidare. “Il mercato” suona come un sistema naturale che può esercitare una pressione su tutti noi allo stesso modo, come fanno la pressione atmosferica o la gravità. Ma è carico di relazioni di potere. Quello che “vuole il mercato” tende a significare quello che vogliono le imprese e i loro padroni. “Investimento”, come nota Sayer, significa due cose ben distinte. Una è il finanziamento di attività produttive e socialmente utili; l'altra è l'acquisto di beni esistenti per ottenere da questi rendite, interessi, dividendi e profitti. Usando la stessa parola per indicare attività differenti, «si mascherano le fonti di ricchezza», portandoci a confondere prelievo di ricchezza con creazione di ricchezza. (…).
Il trionfo del neoliberismo riflette anche il fallimento della sinistra. Quando la teoria del laissez-faire economico portò alla catastrofe del 1929, Keynes inventò un'estesa teoria economica per sostituirla. Quando la gestione della domanda keynesiana raggiunse il suo limite, negli anni '70, c'era, pronta, un'alternativa conservatrice. Ma quando il neoliberismo è crollato, nel 2008, non c'era nulla. È per questo che lo zombie cammina. (...).
Ogni invocazione a Lord Keynes è l'ammissione di un fallimento. Proporre soluzioni keynesiane alle crisi del XXI secolo è ignorare tre problemi ovvi. È difficile mobilitare le persone intorno a vecchie idee; le crepe evidenziate negli anni '70 non sono scomparse; e, cosa più importante, il progetto non ha nulla da dire sul nostro problema più grave: la crisi ambientale. La teoria keynesiana funziona con lo stimolo della domanda di consumo per promuovere crescita economica. Domanda di consumo e crescita economica sono i motori della distruzione ambientale.
* Immagine di Steve Rotman, tratta dal sito Flickr, immagine originale e licenza. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite
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