Per uscire dal vicolo cieco della crescita. La proposta di una società dell’abbondanza frugale
Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 02/07/2016
DOC-2792. ROMA-ADISTA. Di fronte alla crisi che l'umanità sta vivendo - stando a tutti i segnali, solo un piccolo assaggio di ciò che verrà - quel che serve è una cura tanto urgente quanto radicale di disintossicazione collettiva dal veleno della crescita, la vera religione del nostro tempo. Che questo sia il primo passo da compiere - diventare «atei della crescita» - ne è assolutamente convinto l'economista e filosofo francese Serge Latouche, che sulla questione si è soffermato nell'incontro su "Crescita, Recessione, Decrescita, un cerchio che si chiude?", svoltosi il 12 maggio alla Comunità di Base di San Paolo di Roma, nell'ambito del Cantiere Cipax 2015-2016 dedicato alle Nuove Economie di Pace (promosso in collaborazione con Adista, CdB San Paolo, Confronti, Figli di Abramo-amici per la pace, Officina Adista, Osservatorio per il dialogo laico-interreligioso e Pax Christi). Di certo, tutto sembra indicare che l'umanità sia finita in un vicolo cieco, sospesa com'è tra la strada, ormai arrivata al capolinea, di una «società della crescita con crescita» - quella su cui abbiamo camminato finora e che sta conducendo il pianeta alla sesta estinzione di massa delle specie viventi - e quella, su cui ci stiamo tragicamente muovendo oggi, di «una società della crescita senza crescita», cioè di una società in recessione, con tutta la disperazione sociale che porta con sé. Tra l'«estinzione» e la «disperazione», però, c'è, secondo Latouche, un piccolo sentiero di speranza, rappresentato da ciò che ci si è ormai abituati a definire decrescita, la quale, però, avverte, più che un concetto è uno slogan - funzionale a una critica radicale dello sviluppo diretta a spezzare l'attuale conformismo economicista - e più che un progetto alternativo è una «matrice di alternative», una proposta necessaria per riaprire gli spazi dell'inventività e della creatività. Una proposta che discende in linea diretta dalla fisica, e in particolare dal secondo principio della termodinamica, in base a cui, alla fine di ogni processo, la qualità dell'energia (cioè la possibilità che questa possa essere riutilizzata) è sempre inferiore rispetto all'inizio e pertanto qualunque processo di produzione di merci riduce la disponibilità di energia nel futuro e quindi la possibilità futura di produrre altri merci. Sono i limiti imposti dalle leggi di natura, dai quali non può che derivare l'assurdità del concetto di una crescita infinita e dunque, in maniera altrettanto inoppugnabile, la necessità della decrescita, o a-crescita, cioè del progetto, secondo le parole dell’economista Tim Jackson, di una società di prosperità senza crescita, o, come lo definisce Latouche, di una società di abbondanza frugale. Che, spiega, sembra un ossimoro ma non lo è, in quanto la decrescita non richiede la riduzione del benessere, bensì una sua ridefinizione, il cui obiettivo è una società nella quale si vivrà meglio lavorando e consumando di meno, attraverso il circolo virtuoso dato dalle famose otto “R”: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare e riciclare.
Quel che invece è davvero un ossimoro è il concetto, profondamente mistificatorio, di sviluppo sostenibile, cioè di uno sviluppo che si vorrebbe rispettoso dell'ambiente, dove una parola gentile e rassicurante come “sostenibile", che rimanda a un'attività umana il cui livello di inquinamento non sia superiore alla capacità di rigenerazione dell'ambiente, viene affiancata da una parola tossica come “sviluppo", indissolubilmente legata al concetto di crescita economica, una crescita che già allo stato attuale supera di gran lunga la capacità di rigenerazione degli ecosistemi.
Vi proponiamo l'intervento pronunciato da Latouche al Cantiere del Cipax, tratto da una registrazione e non rivisto dall'autore.
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