Nuovo caso di pedofilia nella diocesi di Brindisi. Botta e risposta fra vescovo e fedeli
BRINDISI-ADISTA. Secondo arresto il pochi mesi di un prete della diocesi di Brindisi per reati di pedopornografia, e nuova presa di posizione da parte di un gruppo di cattolici brindisini che chiede al proprio vescovo, mons. Domenico Caliandro, di prendere provvedimenti più energici di quelli adottati finora e di istituire una commissione diocesana di inchiesta sulla pedofilia.
Pochi giorni fa è stato arrestato don Francesco Legrottaglie con l’accusa di detenzione di materiale pedopornografico (aveva subito una condanna per analoghi reati già negli anni ‘90). E nello scorso maggio era stato arrestato don Giampiero Peschiulli, accusato di abusi sessuali su minori.
«Gent.mo arcivescovo, nel maggio scorso, qualche giorno dopo l’arresto di un parroco nella città capoluogo con l’accusa di violenza sessuale su minori di 14 anni con l’aggravante dell’abuso di autorità, le indirizzammo una lettera a conclusione della quale chiedevamo di istituire una commissione di inchiesta come avevano fatto due diocesi italiane, Verona e Bressanone» (v. Adista Notizie n. 21/15), scrivono a mons. Caliandro i cattolici brindisini riuniti nel gruppo “Manifesto 4 ottobre”. Ora, aggiungono, un nuovo caso, rispetto al quale «leggiamo una sua dichiarazione (si tratta della nota ufficiale dell’arcidiocesi di Brindisi-Ostuni, ndr) secondo la quale “per il sacerdote si determina da subito la limitazione di qualsiasi atto di ministero pubblico fino a nuova disposizione” e “tuttavia da anni non ha alcun incarico e non svolge alcun ruolo in diocesi”. I giornali parlano di una sua dichiarazione secondo la quale il sacerdote arrestato “potrà celebrare solo privatamente”. Un passaggio, quest’ultimo, originato, forse, da un difetto di comunicazione o refuso, che richiederebbe qualche parola chiarificatrice del suo pensiero dal momento che, per come lo si legge, appare avulso dal senso profondo dell’Eucarestia, fonte e culmine della vita comunitaria, che non potrebbe essere ridotta a pia pratica di pietà individuale».
Il nostro convincimento, scrivono ancora, è che il problema della pedofilia nel clero non può «essere affrontato in maniera episodica e con dichiarazioni rassicuranti verso le comunità e l’opinione pubblica, sempre più insofferenti nei riguardi di questi comportamenti». «Non si tratta di punire e reprimere, ma di avviare una profonda revisione dei metodi di selezione e formazione dei presbiteri, troppo lontani e separati dalla vita quotidiana e dalle comunità. E si tratta anche di promuovere una verifica, libera e sincera, degli stili di vita di tutti. Ci chiediamo, allora, se a fronte di certi comportamenti sia sufficiente l’allontanamento dal ministero pubblico dei presbiteri coinvolti o se, invece, nel dare segnali chiari e rigorosi di riprovazione, non sia giusto procedere, rapidamente, dopo le prescritte verifiche, alla sospensione da qualsiasi funzione pastorale e sacramentale in pubblico e in privato (sospensione a divinis), almeno fino a quando non risultasse l’innocenza degli accusati». E rispetto all’arresto di don Legrottaglie, «ci chiediamo, inoltre, se non sarebbe stato doveroso, dopo la precedente condanna negli anni ‘90 per abusi su minori, non permettere all’interessato la prosecuzione del ministero presbiterale. Per molto meno, e cioè perché il loro amore non rientra nel canone ecclesiastico, non si permette a uomini e donne l’accesso ai sacramenti!». Quindi la richiesta, già formulata a maggio, in occasione dell’arresto di don Peschiulli: l’istituzione di una commissione diocesana di inchiesta sulla pedofilia.
Alla lettera del gruppo “Manifesto 4 ottobre”, mons. Caliandro risponde a mezzo stampa, con un’intervista rilasciata al Nuovo quotidiano di Puglia (1/12): «Quando una persona è inquisita – afferma – la Chiesa, restringe le facoltà e gli fa conservare il diritto di celebrare messa in forma privata, senza i fedeli. Quando la situazione va avanti e si arriva al rinvio a giudizio, il prete viene sospeso a divinis in attesa della conclusione del processo. Nel caso poi il prete, all’esito del procedimento, viene condannato per pedofilia, interviene il papa che riduce il prete allo stato laicale». E conclude, riferendosi evidentemente – sebbene senza citarli – ai cattolici del “Manifesto 4 ottobre”: «Ci sono alcuni laici che credono di essere più santi degli altri. Le persone di Chiesa sono uomini umili che capiscono che deve essere garantita la dignità delle persone, la dignità dei bambini che non subiscano scandali e non conseguano ferite che possono fare male nella loro crescita».
La sua reazione «è per noi motivo di sorpresa e di amarezza perché, a chi esprimeva preoccupazione per il grave problema ed in spirito di collaborazione prospettava (a torto o a ragione) ipotesi di possibili interventi, dichiarandosi a disposizione per ogni incontro o “correzione”, lei risponde col rifiuto aprioristico di ogni dialogo e con una accusa (“credono di essere più santi degli altri”) che oltre ad essere irrispettosa e gratuita, rasenta il dileggio», replica il gruppo “Manifesto 4 ottobre”. «Vicende come quelle che hanno sollecitato le nostre lettere aperte provocano, a noi come a tutti, sofferenza e preoccupazione. Lei certamente converrà che il silenzio e le minimizzazioni, specie all’interno della Chiesa, non aiutano a prevenire il ripetersi di queste tristi esperienze e a rimuovere le cause che ne sono all’origine». Quella della pedofilia del clero, nella Chiesa italiana, è un tema sensibile e una questione ancora aperta.
* Immagine di LPLT, tratta dal sito Wikimedia Commons, immagine originale e licenza. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite
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