Territorio bene comune. Nel nome del popolo sovrano
Tratto da: Adista Documenti n° 39 del 14/11/2015
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Con l’enciclica Laudato si', papa Francesco ci propone, scuotendo incancrenite concezioni ancora radicate nell’immaginario collettivo e in buona parte dello stesso mondo cattolico, una nuova visione del mondo.
Questa visione del mondo corre sul filo della “bellezza” che informa di sé l’intero creato. La bellezza è un concetto intuitivo che non si presta a definizioni concettuali, ma che è compreso da tutti, come da tutti è compreso il concetto intuitivo della “bruttezza”. Pertanto è molto apprezzabile che papa Francesco, avendo dalla sua parte S. Francesco d’Assisi, insista sulla bellezza della natura e sulla bruttezza di tante opere dell’essere umano. Solo per citare qualche esempio, è opportuno ricordare che, al par. 103, egli afferma che solo «nel desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana», mentre nella “Preghiera per la nostra Terra”, con la quale si conclude l’enciclica, chiede a Dio di riversare in noi la forza del suo amore «affinché ci prendiamo cura della vita e della bellezza», e «affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione».
Eppure questa «madre bella», continua papa Francesco (par. 1 e par. 2), «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando di essere suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi».
Sull’onda di questo grido di dolore, l’enciclica passa a considerare le cause di questo abuso e di questo saccheggio. «Osservando il mondo notiamo che questo livello di intervento umano, spesso al servizio della finanza e del consumismo, in realtà fa sì che la Terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia, mentre contemporaneamente lo sviluppo della tecnologia e delle offerte di consumo continua ad avanzare senza limiti» (par. 34).
L’enciclica continua su questa via con affermazioni di grandissimo rilievo. Vi si sottolinea che «la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana» (par. 189). «Ora ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che tende a ignorare o dimenticare la realtà stessa di ciò che ha dinanzi. Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente una mano, diventando invece dei contendenti. Da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a spremerlo fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che esiste una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti» (par. 106). D’altro canto, sottolinea papa Francesco, «i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente (…). Oggi qualunque cosa che sia fragile come l’ambiente rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta» (par. 56).
Al contrario, incalza papa Francesco, «dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la Terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature (...). I testi biblici (...) ci invitano a coltivare e custodire il giardino del mondo (...). Custodire vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare» (par. 67).
Da qui la grande e innovativa affermazione secondo la quale «quando parliamo di ambiente facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita». Questo non deve farci «considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati» (par 139). «La relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformata in un conflitto. Per questo è significativo che l’armonia che S. Francesco d’Assisi viveva con tutte le creature sia stata interpretata come una guarigione di tale rottura» (par. 66).
Alla luce di questi fondamentalissimi principi, l’enciclica entra poi direttamente anche nel campo giuridico, affermando che «la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto di proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualsiasi forma di proprietà (...). Dio ha dato la Terra a tutto il genere umano perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno (...). Non sarebbe veramente degno dell’uomo un tipo di sviluppo che non rispettasse e non promuovesse i diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei popoli (...). La Chiesa insegna che su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha dato loro» (par. 93). Di conseguenza, «l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti» (par. 95).
Singolare è che papa Francesco, nel capitolo V dell’enciclica, diventi addirittura un giurista, enumerando gli elementi della “Comunità politica” o Stato che dir si voglia, e cioè il “Popolo”, il “territorio”, “la sovranità”. Egli comincia a riferirsi al “Popolo” nell'osservazione secondo la quale negli ultimi tempi si è andata affermando la tendenza a «concepire il pianeta come patria e l’umanità come “Popolo” che abita una casa comune» (par. 164), passando poi a sottolineare che «sono funzioni inderogabili di ogni Stato quelle di pianificare, coordinare, vigilare e sanzionare all'interno del proprio territorio» (par. 177), per affermare infine che le relazioni tra gli Stati «devono salvaguardare la sovranità di ciascuno» (par. 173). Per papa Francesco, dunque, la “globalizzazione” non fa venir meno l’essenzialità dei popoli e dei territori, e, quindi l’importanza degli Stati nazionali, i quali perdono potere a causa della dimensione economico-finanziaria (par. 175). Egli, al contrario, pone in evidenza l’importanza della partecipazione popolare (par. 181 e par. 183) e delle comunità locali, nelle quali «possono nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore per la propria terra» (par. 179).
Questa enciclica, dunque, è una grande lezione di vita per tutti ed è anche una grande lezione per i giuristi e per gli economisti. Se davvero vogliamo far tesoro di questo grande insegnamento, dobbiamo innanzitutto affermare che in campo economico non può dominare il principio neoliberista secondo il quale è possibile una crescita infinita (affermazione che contiene una menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta) ed è realizzabile l’obiettivo del massimo profitto. Principio economico fondamentale deve essere invece la redistribuzione della ricchezza, come diceva Keynes, e non l’accentramento della stessa nelle mani di pochi. Accentramento che, oltretutto, si ottiene con metodi riprovevoli e dannosi per la collettività. Infatti la finanza non segue più il suo percorso “finanza-prodotto-finanza”, ma quello “finanza-finanza”, con la conseguenza che non ci sono più investimenti produttivi in beni reali, ma investimenti in prodotti finanziari, fondati sul gioco e la scommessa, e forieri di crolli di valori economici, raschiamento dei beni esistenti e disoccupazione. Si pensi ai derivati, ai derivati dal credito, alle cartolarizzazioni dei diritti di credito, alle cartolarizzazioni degli immobili, ai projet bond e via dicendo. Tutti strumenti che, con il gioco e la scommessa, creano denaro dal nulla.
A ciò deve aggiungersi l’azione nefasta della cementificazione da parte di costruttori senza scrupoli, i quali sono i maggiori responsabili dell’immensa devastazione ambientale e dell’insostenibile consumo di suolo. Un’azione deleteria, peraltro, è stata posta in essere anche dalle pubbliche amministrazioni, le quali, costrette dall’austerity imposta dalla Germania e dai danni derivanti dalla moneta unica (che in fondo si concreta nella necessità di mantenere un cambio fisso tra le economie dei diversi Paesi), per poter pareggiare i bilanci continuano a spron battuto nelle dannosissime privatizzazioni, che producono povertà e disoccupazione e che ormai riguardano ogni campo: le industrie, i territori e i demani pubblici. Il tutto è stato possibile a causa di leggi incostituzionali emesse a favore della finanza e delle multinazionali e ai danni del popolo italiano. La politica infatti, come ha notato papa Francesco, si è sottomessa alla finanza e alla tecnocrazia.
Sul piano giuridico, l’insegnamento di papa Francesco ci indica una strada maestra, quella di considerare l’essere umano come parte della Natura e il Popolo come una grande famiglia. Ed è consolante pensare che la via indicata da papa Francesco è quella seguita dalla nostra Costituzione, che ha imposto lo Stato sociale di diritto.
La ricostituzione dello Stato sociale, decomposto sotto i colpi della politica neoliberista seguita dai governi Berlusconi, Monti e Renzi e imposta, illegittimamente, dalla troika, implica la necessità che riemergano a livello di immaginario collettivo due grandi verità: l’“appartenenza del territorio al Popolo” a titolo di sovranità e il dato indiscutibile secondo il quale, in base alla Costituzione, la proprietà privata non ha più tutela giuridica se non persegue la “funzione sociale”, per cui è da ritenere che gli immobili e i terreni abbandonati sono usciti dalla proprietà dei privati e automaticamente rientrati, iure Constitutionis, nel patrimonio pubblico appartenente a tutti i cittadini. Si tenga presente, a questo proposito, che il “territorio”, come la Storia dimostra, è sempre stato considerato come “contenuto” della sovranità e che la cesura tra sovranità e territorio è stata operata dalla restaurazione napoleonica, ampiamente superata dalla nostra Costituzione. Per cui, oggi, il territorio è tornato a essere oggetto della sovranità del Popolo, il quale ne è proprietario collettivo a titolo di sovranità, come sopra si diceva. E se si tiene presente che il paesaggio è “forma del territorio”, ne consegue che il Popolo è anche “proprietario collettivo” di quest’ultimo, e che, proprio per questo, ha la potestà di imporre alle proprietà private i limiti della pianificazione, della conformazione e del permesso di costruire, il cosiddetto ius aedificandi, che non appartiene al privato, come comunemente si crede, ma al Popolo.
Se si abrogano tutte le leggi incostituzionali alle quali si è sopra fatto cenno; se si fa riemergere dalle ceneri dello Stato liberal borghese il concetto di “proprietà collettiva” del territorio (e del paesaggio) a titolo di sovranità; se, infine, si fanno valere i limiti posti costituzionalmente alla proprietà privata e in particolare il principio assorbente della “funzione sociale” della proprietà, potremo, da giuristi, affermare che ci siamo posti nel solco indicato da papa Francesco, un solco che trova piena corrispondenza, qualora si seguano le argomentazioni descritte, nei principi e nelle disposizioni della nostra Costituzione democratica e repubblicana.
Paolo Maddalena, giurista e magistrato, è vicepresidente emerito della Corte Costituzionale. È autore del volume “Il territorio bene comune degli Italiani”, edito da Donzelli, Roma, nel 2013.
* Foto di Fabrizio Alessandrelli
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