Papa Francesco e le donne. Il difetto è nel sistema-Chiesa
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 25 del 11/07/2015
Una donna a capo di un dicastero vaticano sarebbe solo «funzionalismo» e non il giusto modo di dare più peso alle donne nella Chiesa. Lo ha detto il papa in un passaggio del suo discorso a braccio ai salesiani e alle salesiane incontrati a Torino il 21 giugno scorso. Queste le sue parole:
«Quando mi domandano: ma non si devono prendere decisioni più forti sulla donne nella Chiesa? Certo. E perché [il papa] non nomina una capo dicastero? Ma credi - è la risposta del papa ad un interlocutore immaginario - che questa è una decisione forte? Questo è funzionalismo, la donna nella Chiesa ha lo stesso lavoro, per dirlo così, che aveva la Madonna con gli apostoli nella mattina di Pentecoste, e gli apostoli senza Maria non andavano. Gesù ha voluto così».
L'arte, sempre più raffinata nel mondo dell'informazione, di estrapolare le parole dai loro contesti per trasformarle in campi di battaglie ideologiche non è d'aiuto alla comprensione dei fatti e al dialogo. Bisogna almeno far la fatica di risalire alla fonte e discernere le circostanze, se non ricercare le radici e le ragioni più profonde quanto più la questione sta a cuore e ci riguarda. Così, irrigidirsi e polemizzare contro papa Francesco per aver definito semplice «funzionalismo» e non vera promozione mettere le donne a capo dei dicasteri, mi appare uno spreco di energie nella direzione sbagliata. Sarebbe forse più utile soffermarsi sul termine «funzionalismo» e, con una buona dose di franchezza, dirsi che la vera questione non è l'opportunità o meno d'inserire le donne nei meccanismi della Curia romana, quanto piuttosto il senso e il ruolo degli stessi meccanismi.
Il nodo del problema sta a monte e bisogna trovare il coraggio di metter mano a quel “totem” inviolabile che è la gerarchia della Chiesa cattolica. Dare valore alla presenza delle donne non vuol dire trovare qua e là all'interno dei diversi livelli di struttura ecclesiastica degli spazi da affidare alla gestione femminile. Sarebbe piuttosto auspicabile un riconoscimento di quanto le donne già fanno, combattendo la pericolosissima commistione tra sacro e potere imperante da secoli nella Chiesa, di quanto sono riuscite e riescono a vivere, a realizzare dal punto di vista degli studi teologici, della cultura religiosa, della comunicazione e via via fino agli angoli meno appariscenti e più nascosti della vita delle comunità sparse nel mondo. Pensare alle donne come a coloro che, oppresse e con le mani legate, sono in attesa di un cenno che le autorizzi all'azione, non corrisponde alla realtà. La loro lotta per vivere del Vangelo, quotidiana e costante, semmai, comporta che chi possiede potestà di governo e chiunque esercita un ministero si renda conto della schizofrenia esistente negli uffici, nelle funzioni e nelle comunità che presiede. Se riconoscere i segni dei tempi è uno dei compiti che Gesù affida ai suoi, infatti, bisogna comprendere che questo è il tempo favorevole per affrontare le questioni avvicinandosi il più possibile al loro cuore. E il cuore del problema non è stabilire ragioni e torti, definire vinti e vincitori, ma rendersi conto dei limiti di questo sistema-Chiesa, chiedersi con sincerità quali siano i frutti di un clericalismo maschio e sacro, da troppo tempo modello esclusivo, derivato da un'interpretazione, tutta al maschile anche quella, della Scrittura.
Come si può, ad esempio, promuovere e difendere ad oltranza un modello antropologico del maschile-femminile per la cosiddetta “famiglia naturale” e ignorarlo del tutto per la predicazione del Vangelo, la vita sacramentale delle comunità, il governo della Chiesa? Più volte papa Francesco e i suoi predecessori hanno fatto riferimento per la “questione femminile” al ruolo di Maria nel cenacolo, dopo la resurrezione di Gesù (cfr. At 1,12-14). Ma conseguenza di tale riferimento può mai comportare che Maria sia modello per le sole donne e gli apostoli modello solo per gli uomini? Forse, nel Vangelo secondo Giovanni, Gesù non affida la madre al discepolo e il discepolo alla madre (cfr. Gv 19,25-27)? Cosa si è fatto di questa reciprocità?
Se la Costituzione Apostolica Pastor Bonus scritta da Giovanni Paolo II nel 1988 per accompagnare la riforma della Curia romana, afferma dogmaticamente che «la Curia romana è sorta per un solo fine: rendere sempre più efficace l'esercizio dell'ufficio universale di pastore della Chiesa, che lo stesso Cristo ha affidato a Pietro ed ai suoi successori» (cfr. PB 3), è chiaro che la posta in gioco non è affidare alle donne la direzione di qualche ufficio romano. Fino a quando la struttura rimarrà intoccabile nel suo funzionamento e la sua esistenza legittimata da un'interpretazione non discutibile, a farne le spese sarà la profezia, la regalità e il sacerdozio del popolo credente, tutto.
Giulia Lo Porto è biblista, Palermo
* Immagine di Philosofia, tratta dal sito Flickr, licenza, immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite
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